I volumi alla francese sono una piacevole abitudine che da qualche anno accompagnano le pubblicazioni regolari del texano più famoso d’Italia. In genere, per necessità di linguaggio, lo stile su cui queste storie autoconclusive si attestano su un registro più adulto e marcatamente ricercato.
Che non significa un netto stacco rispetto alle pubblicazioni periodiche regolari ma, semplicemente, un passaggio ad una maggiore profondità stilistica. Quasi come se si usasse la pellicola a 70 millimetri, per intenderci. Certo, l’obiezione che il pubblico più avvezzo al formato Bedè farà, è che la somiglianza a Bluberry è abbastanza prossima, e l’altro per ovvie ragioni è quello arriva prima.
Ma datemi retta, in questo caso sono proprio due cose differenti. Per me anzi, che sono un accanito lettore del giovane Tex Willer, ritrovare la sua versione matura e, mio dio! , il canuto Kit Carson che strana impressione. Tex il rangers è sempre una sicurezza e a volerla dire tutta, nella versione francese non si trova un’abbondanza di caffè nero e fagioli e piombo facile. Il Tex che incontriamo in questa storia, la frustata, è un personaggio riflessivo e tattico. Agisce sempre da eroe tout court, ma raffinato e impietoso.
La sceneggiatura vede a lavoro Pasquale Rujo, decano del rangers, ma anche leggenda vivente della Bonelli, campione di pagine scritte e sommo conoscitore di molti eroi legati al mondo del sovrannaturale, incluso Dylan Dog e Dampyr. Ed infatti, anche in questa storia, articolata tra una sponda e l’altra del Rio Grande, un significante tocco sovrannaturale nei panni di una Bruja, che cresce uno degli antagonisti della storia, Diego Portela. Infatuato della bella figlia di un ricco possidente. Che lo punisce, lo lascia con una cicatrice di una frustata sul volto ed una sete di vendetta. A rendere la cosa interessante è proprio la Bruja che fornisce a Portela dei revolver incisi con simboli magici che sembrano dare il potere di colpire esattamente dove si vuole. L’aura di misticismo oscuro è palpabile e terribilmente funzionale.
Il problema di questa vendetta è che proprio Tex e Carson finiscono nel mezzo durante un furto di lingotti d’argento che conduce proprio a casa del padron Alvarado, il dispensatore della frustata. Una cosa, però è chiara sin dall’inizio, proprio nulla è come sembra e, anzi, tutta una serie di piccoli ribaltamenti porta ad un finale degno di un vero e proprio mexican stand-off.
A rendere la cosa ancora più interessante, proprio il fascino dell’ambientazione, quella sottile linea grigia tra il Messico e gli Stati Uniti dove le due culture di fondono creando suggestioni piccanti e fondamentalmente esotiche.
Mario Milano, alle matite ci regala un tratteggio raffinato che distribuisce personaggio profondi e segnati. Le ambientazioni sono super dettagliate e definite. La villa degli Alvarado è definita in ogni singolo dettaglio, proprio come il convento abbandonato in cui è ambientata la prima scena della storia. La ricerca architettonica regala una perfetta ambientazione che si ripropone con profondità anche negli interni. In generale il livello di dettaglio è pazzesco e fa pensare a tavole sviluppate con tempi e passioni durevoli.
Di questa storia, quello che colpisce nel modo più diretto è la maturità della storia che regala un Tex, protagonista ma meno vittima del suo stereotipo. Gli snodi della trama, il modo in cui ogni personaggio viene caratterizzato con pochi tratti e meno battute ci regala una storia che riecheggia in ambito classico senza rinunciare alle suggestioni da pulp story.
Il finale chiude l’intreccio con un brivido che indurisce come la luna piena che lo accompagna. Non ci sono cavalieri che cavalcano fino al tramonto, ma solo la consapevolezza di due vecchie leggende che possono testimoniare qualcosa che non capiranno mai del tutto.
Ed in quel sottile subtesto di mistero, soggiace tutta la grandezza di questo volume.