Una delle più interessanti di queste ultime settimane, è l’uscita in uno splendido volume cartonato con la nuova fatica di Jérémie Moreau, Penss e le pieghe del mondo. Se per caso vi voleste aspettare da questo racconto una avventura paleolitica ricca di azione e crudezza, probabilmente non andreste troppo lontano, ma perdereste l’aspetto più toccante di questa storia.
La profondità filosofica, naturalista, esistenzialista, che quasi rende Penss un moderno Leopardi a contatto con il suo pessimismo, è la componente portante di questa storia, riccamente metaforica e alla perenne ricerca di un velo che sollevato, possa spiegare i misteri del mondo.
In una tribù sulle montagne, in attesa del prossimo inverno, Penss è un essere diverso dalla sua gente. Non ama cacciare, non ne è capace e nemmeno interessato. Rispetto agli altri, resta in disparte, valuta, studia la Natura in una concezione semi panteistica. Si rende conto perfettamente che l’universo è molto più complesso di come provano a spiegarlo i suoi simili, ma non è ancora dotato della chiave di lettura giusta.
Parlare di realismo in una condizione di questo tipo, ovviamente, non ha senso. Non sappiamo cosa pensassero i Primi e che interpretazione dessero alla natura, distante da quella completamente oggettiva. Penss parla come un filosofo, più avanti di un Eraclito se vogliamo, e quindi più spinto oltre gli albori della civiltà ellenica.
Penss si allontana da tutti e rimane indietro durante una migrazione, lui e la vecchia madre. Restano bloccati in una valle da soli, semplicemente perché preso da mille osservazioni non ha saputo seguire gli altri. Il freddo arriverà imperterrito e a Pens resterà il rimorso e la rabbia. Oltre alle più oscena delle decisioni.
Da quel momento inizierà la guerra contro la Natura stessa con lo scopo non più di comprenderla ma di carpirne, rubarne i segreti. Proprio nel modo in cui il pessimismo si fa cosmico ed i suoi primi timidi tentativi di coltivare la terra lo lasciano da solo contro un’impresa molto più complessa ed incapace di affrontarla da solo.
Un altro clan, decimato dal freddo arriverà e Penss ormai solo ne rimarrà ai margini. Loro troppo stremati per cacciare il Mammut lui troppo invaghito della sua missione per ricordarsi dell’umanità. Anzi, proprio mentre i loro destini si uniranno che lo scontro si farà ancora più brutale. Mentre l’uomo, come emanazione della Natura, si presenta come ultima nemesi, il pessimismo si fa universale e l’umana miseria diventa una storia di gruppo, il bisogno di riconoscere i propri limiti e blandirli facendo parte di un umano consesso.
La genialità di Moreau in questo è assolutamente devastante.
Il tratto e la colorazione restituiscono la brutalità di un mondo vergine ed inospitale, malgrado in potenziale possa tenere tutti i segreti necessari alla sussistenza. La resa grafica è meravigliosa, il passaggio delle stagioni viene segnato da colorazioni potenti e che si traducono in una gioia per gli occhi. Il design dei personaggi è ruvido, reso riflesso di un mondo ostico, ma senza limiti evidenti. La capacità di Moreau è proprio quella di sintetizzare in pochi tratti la brutalità della vita e la difficoltà di sopravvivenza.