Questo numero strazia il cuore. E non lo dico, perché ormai il nostro barbuto eroe ci ha abituato a colpi di scena clamorosi e storie con una empatia al limite dello straziante. Chi segue questa rubrica sa di quello che parlo.
No, questo numero colpisce dritto al cuore facendo vibrare direttamente una corda che, vuoi per sintonia personale, vuoi per affinità universale, genera un blues violento e senza regole.
La casa dei sospiri del titolo (nome generato da un sagace gioco di parole), è, di fatto un ospizio. Samuel è inviato là da Duncan per indagare su strane morti. Qualcosa si agita nell’aria e, persino le incredibili capacità di Samuel faticheranno non poco per trovare una soluzione che apparentemente è ben nascosta in piena vista.
Ora, detrattori del nostro si affanneranno a sottolineare come possa tutto assomigliare ad un one trick pony, con il ‘demone della settimana’ da sconfiggere. Che se ci fermiamo alla superficie potrebbe persino non essere troppo falso. Il punto è che sotto ogni singola increspatura si nasconde un universo intero e, soprattutto in numeri come questo, il demone di turno è uno spunto per approfondire elementi molto più universali. Nel contesto specifico, l’elemento chiave è la vecchiaia ed il decadimento. Devo dire che già dall’introduzione del caro Angus, la cosa viene affrontata con una certa rudezza vitalizzante.
Il tramonto dell’Occidente, in fondo, non è che l’Alzheimer di una civiltà che, segretamente, si sta godendo la sua riconquistata amnesia.
Se avessi ancora una Smemoranda la segnerei con un Uni Posca nero in una qualsiasi pagina domenicale. Il decadimento, connesso all’amnesia, al perdere i ricordi che sono la struttura che ci sostiene, al sentirsi ogni giorno sempre più in forse, il mollare lentamente ma costantemente gli ormeggi da questo piano della realtà dove il materialismo e l’edonismo sembrano avere preso il controllo di tutti. Sul tema della vecchiaia, di come ci si possa sentire un peso per la società ed un imbarazzo per i figli, sono stati scritti trattati ed opere filosofiche, eppure nulla è così toccante come leggere queste tavole dove Samuel si presta ad aiutare uomini e donne che sono un pallido ricordo di quello che erano una volta.
Se qui dovessi trovare un punto di riferimento, e forse è la prima volta che in un numero di Samuel, è la prima volta che lo percepisco in modo così netto, si tratterebbe del buon vecchio Stephen King e del suo Doctor Sleep. Seguito di Shining, mai perdonato proprio per quella ascendenza, ma che invece conserva una marea di spunti interessanti. Solo che il meccanismo qui funziona alla rovescia e, al contrario della Luccicanza, Samuel si imbatte in un rumore bianco che non lo fa orientare. La presenza del male è netta e ben chiara ma non così evidenziabile. la concezione che in un copro in decadimento spinto una coscienza forte e vigile possa aprire una crepa per la nascita di un male così forte è finzione certo, ma fa lo stesso riflettere. Chiunque di noi ha visto i proprio cari invecchiare ed indurirsi, perdersi nei rimpianti od affossarsi nella rabbia del non avere mai tempo abbastanza.
In fondo è vero la vecchiaia riguarda sempre gli altri, fino a quando non tocca a noi.
Da questo punto di vista sono illuminanti le ultime quattro pagine con uno scambio tra Duncan e Samuel intenso, che non lascia spazio a facili compromessi ma che, anzi, affonda nel dubbio e nel rammarico.
Sotto il punto di vista della continuity, si profilano due curiose novità. Proprio come nel numero precedente, i poteri di Samuel si ampliano o, quanto meno, si raffinano, lasciando intravedere nuove possibilità. Su una nota più angosciosa la relazione con Duncan sembra di nuovo infragilirsi, pur mantenendo un sostrato adamantino.
Blengino riesce a tessere una trama arguta e piena di riferimenti dove affiora una empatia densa verso tutti i personaggi raccontati. Ed il contesto demoniaco assume un’ombra particolarmente preoccupante. Palmisciano racconta il tutto con un rimando, nel character design, a Magnus. Ed in generale le sue tavole, cariche di ombre, sono capaci di restituire l’inquietudine che trasuda dal corpo della storia, arricchendole di particolari ansiogeni e disturbanti.
Una storia densa, che fa male, ma che non si può non leggere.