Leggere questo volume appena edito da Bao Publishing è oltremodo divertente. Le tavole coi loro colori frizzanti, rendono questa storia spassosa ed estremamente piacevole.
Ma fermarsi a questo sarebbe come archiviare tutto il synth pop anni ’80 ad un fenomeno di eccessiva lacca nei capelli. Al contrario, l’esercizio in semplicità di questo volume nasconde molteplici piani di lettura. Non è un caso che Franco Battiato venga citato a nume tutelare di questa semplice complessità (ed è anche la seconda volta che il buon Battiato viene citato in un fumetto Bao in meno di un anno, l’altra era il primo volume di The Prism di Matteo de Longis e ve ne parlo qui).
Discosogni parte da una località marittima non particolarmente a là page negli anni ’80 dove due ragazzi, Ambra e Giovanni, cercano di trovare la propria strada lontana dai paletti rigidi che la vita sembra avergli parato dinnanzi.
Ambra lavora in una gelateria ed ogni tanto fa piano bar. Giovanni è un alfiere del gender fluid, anche se dubito che ai tempi si potesse classificare così; balla in uno stile europeo per cui la provincia italiana ancora non è pronta. Ambra sogna di diventare una musicista ma viene scoraggiata pesantemente dai familiari. Non ha il fisico o la grazia. Ad un certo punto le viene addirittura detto che alle donne vengono fornite le canzoni e le coreografie, anche la voce può essere un problema risolvibile, ma devono essere quanto meno di bella presenza. Forse non ve l’ho ancora detto, ma siamo negli anni ’80, l’edonismo, l’immagine ed i Duran Duran, sono tutto. Clizia Gurrado dovrebbe essere d’accordo.
Non credo sia un caso che si sia scelto questo periodo storico particolarissimo per raccontare le vicissitudini di una ragazza che vuole entrare nel mondo della musica. Una decade dopo, più o meno sarebbe iniziata l’epopea dei talent, e per gli urlatori da garage sarebbe più o meno finita (esagero, non è proprio così, in mezzo bisognerebbe infilarci anche la questione Napster e sarebbe molto più complesso da analizzare, ma se si parla di pop, forse non ci vado troppo lontano). Gli anni ’80 erano un periodo particolare soprattutto per quel genere estremamente particolare che si chiamava italo disco. Gran sintetizzatori, basi da urlo, e l’equivalente italico dei nipponici idoru a metterci la faccia.
Forse il mondo riconosce la storia, scandalosa, dei Milli Vanilli, ma in Italia era pieno di vocalist con un nome anglofilo ma italianissimi. Non è un caso che ne venga creato qui uno quasi casualmente Zaff Hero. Succede quando un produttore si rende conto che la capacità compositiva di Ambra sarebbe perfetta se a metterci l’immagine fosse un personaggio estroso come Giovanni.
Inizia così la finzione, che rasenta la truffa, tra discoteche, Milano da bere e il festival di San Remo. Già il buon vecchio festival. Per quelli della mia generazione, il festival rappresenta l’establishment (l’odioso presentatore siculo che per non dire che non apprezzava Bruce Springsteen, si limita a dire che la sua canzone preferita è Jersey girl …nota cover di Tom Waits). L’establishment che rappresenta il festival però è anche una cartina tornasole del paese, del modo in cui certe cose vengono sentite ed intese. E così negli anni ’80 cercava di aprirsi a questi fenomeni dance che potessero portar l’interesse al mondo dei giovani.
Le chiavi di lettura, come vi dicevo, abbondano. La necessità di realizzarsi, la voglia di far scontrare apparire ed essere, la liberazione sessuale, quanto mai tema modernissimo. Ed un sonoro, potentissimo intersecarsi con un pezzo di storia, gli anni ’80 da cui, come cantava Manuel Agnelli, non si esce vivi.
In questo Ambra e Giovanni sono una ventata d’aria fresca. Personaggi completamente atipici si muovono in una realtà che sembra andare tre volte più lenta di loro. La loro energia è la necessità di respirare i loro stessi sogni ma la loro leggerezza sta nel non abbattersi e trovare sempre una via d’uscita. Umana, e lontanissima da ogni forma di stereotipo. In questo la Rostagnatto è bravissima, i suoi personaggi sono credibili e ben cesellati.
Dal punto di vista grafico, la resa è molto simile ad un manga. Espressioni, cambi di ritmo e regia arrivano da quella scuola, ma sono rielaborati senza cadere mai nella volgare imitazione. Anzi, molto dello stile degli anime a tema musicale anni ’80 viene rielaborato, o forse dovrei dire remixato, in una squisita chiave italica. Con un Zanatta, sgangherato producer, a tratti pericolosamente simile ad Ayase Due Note.
Un punto in più va speso per i colori, vivaci ed estremi come solo negli anni ’80 si poteva, e capaci di sottolineare un mondo che non c’è più senza necessariamente solleticare la chiave della nostalgia.
Discosogni è un volume piacevole, degno di nota e perfetto per chi ama quel mondo, o solo uno degli aspetti che lo compongono. Godibile e leggero come poche cose in questo periodo travagliato.