Sono molto legato alle stampe di Escher. La risposta facile sarebbe per via di quella curiosa commistione tra modelli matematici e design che spaziano ben oltre lo stupore grafico. Avete presente cosa significhi ascoltare Metropolis Pt 2 dei Dream Theater? Ecco, non appena la vostra mente si spinge oltre l’utilizzo della semplice scala pentatonica e prova a comprendere la complessità di quegli incastri melodici, le sinapsi si rilassano ed improvvisamente vi trovate a viaggiare stando fermi.
Con Escher è la stessa cosa.
E come vi dicevo, sarebbe la risposta più obiettiva da darvi. Ma non è sufficiente. Io ad Escher sono legato da alcuni episodi della mia adolescenza. E tanto basta ad averlo caro, credetemi.
Detto questo scoprire questo nuove volume Tunuè, è una epifania. Conosco e apprezzo il lavoro di Lorenzo Coltellacci sin dal precedente Un Singolo Passo. Là c’era la freschezza di un romanzo di formazione. Un’autorialità indie volta a concentrarsi su se stessa per poi scoprirsi universale.
Questo invece è un passo da gigante. Prima di tutto deve esserci della passione vera per Escher, per scoprire così tanto del suo lavoro, ma anche della sua vita privata, non deve essere stato un passo semplice. Ma oltretutto c’è il modo in cui l’IO narrativo si insinua nella storia evitando gli inutili stilemi del biopic letterario. La struttura narrativa di questo volume invece si basa sugli stessi intarsi temporali di cui era solito servirsi Escher per creare una spirale narrativa che è un abile virtuosismo e una storia interessate.
Non posso rovinarvi la lettura spiegandovi nel dettaglio il topo letterario utilizzato per raccontare questa storia. Posso però svelarvene la passione. Lorenzo scrive come se conoscesse Escher di persona. Anzi, quasi come se fosse un vecchio amico. E devo, dire c’è dell’incredibile nella vicenda umana di questo uomo del vecchio secolo. Viaggiatore, metodico, passionale eppure chiuso.
Non si può ignorare in ciò la perfetta commistione che intercorre tra narrazione e disegno. Andrés Abiuso ha un controllo eccellente della materia narrata, il suo tratto si adatta perfettamente alla vecchia Europa. Mentre da un punto squisitamente tecnico il suo tratteggio segue, dove necessario, le logiche di quello Escheriano, nella resa degli animi il suo tratto si ammorbidisce. Mentre il design assume connotazioni che riecheggiano di Studio Ghibli, il tratteggio assume una cifra stilistica molto in linea con quello che è quasi uno stile narrativo della casa editrice laziale.
Quello che colpisce maggiormente è il color script, sempre dello stesso Abiuso, che sceglie tinte nette, quasi acquerellate, dove c’è una predominanza delle tinte gialle. La narrazione che non può non essere emotiva riesce a dosare sapientemente gli equilibri geometrici con l’equilibrio emotivo dei tre protagonisti. Personaggi che si muovono attraverso percorsi sghembi, e come potrebbe essere altrimenti?, ma che finiscono per incontrarsi in un finale che per struttura ed intenti non può non imitare il celebre nastro di Moebius interpretato anche dallo stesso Escher.
È un lavoro coraggioso quello che Tunuè porta in libreria, sfidando probabilmente svariate regole di mercato. Sarebbe stato probabilmente più facile scommettere su un’altra familiarissima slice of life. Al contrario, spingersi in un ambito così particolareggiato merita assolutamente il premio della lettura. Perché Escher, merita di essere omaggiato.
Così come il lavoro di Coltellacci e Abiuso, applaudito.