È curioso come a volte ci si trovi di fronte ad una storia che funziona grazie ad un meccanismo perfetto. Se l’apparato narrativo è ben oliato le tempistiche sono squisitamente retrò eppure rispondenti a logiche modernissime.
In questo episodio di Dylan aleggia lo spirito citazionista di Sclavi, incarnato in una ricerca per il dettaglio che omaggio tanto buon cinema di fine millennio. Giancarlo Marzano è uno sceneggiatore legato al Dylan degli anni duemila mentre credo che le matite di Giovanni Freghieri non hanno certo bisogno di presentazioni. Legato a l’età dell’ora di Dylan, Freghieri ci regala tavole cariche di dettagli, con personaggi cesellati, definiti in ogni singola inquadratura. Moda che segue dei perenni anni ’80, un incubo da cui forse non ci sveglieremo mai.
La storia è un omaggio al genere Giallo del cinema anni settanta. Quello che fa capo ai primi lavori di Dario Argento per intenderci. Compare un elemento sovrannaturale per la verità, ma legato a doppio filo ad una aringa rossa che ci conduce da una parte mentre il gioco è tutto da un’altra.
A dare corpo a tutto ci sono una serie di omicidi tutti eseguiti da una dark lady che sembra Isabella Rossellini in Velluto Blu. E già qui capite l’estetica del racconto. Omicidi apparentemente slegati tra loro, senza un modus operandi comune, senza neppure un movente che possa risultare evidente.
Ed invece è tutto sotto gli occhi di tutti.
Dall’altro lato c’è Gertie. Una ragazza poco adatta ai tempi che corrono. Niente amiche, nessun fidanzato. Un lavoro deprimente in un call center simile ad un pollaio ed una vita con la madre malata, che sembra essere una zavorra a tutte le sue aspettative. Fino a quando a Gertie, ed alla sua mente instabile appare Craig. Craig l’uomo perfetto, atletico, gentile, probabilmente morto.
C’è un filo legato a questi due eventi che cita senza tema una delle storie più oscure del rock n’ roll. L’ingresso di uno dei suoi membri più famosi nel prestigioso club 27. In questo caso si parla di Brian Jones, ucciso per noia ad una festa. Il cui omicidio fu confessato solo sul letto di morte.
Una serie di eventi, come vi dicevo, apparentemente slegati eppure funzionalmente connessi ad una storia che si nutre delle sue stesse ossessioni. Corpi perfetti, donne assassinate nelle vasche da bagno, corpi nudi che si dibattono con un sottofondo per sax di Fausto Papetti. Trucco e capigliatura perfettamente ordinate anche su un letto d’ospedale.
Freghieri gestisce la regia di questa storia in maniera impeccabile e riempie le tavole di tratteggi che rimandano in un certo senso al Frank Miller di Sin City, ma che omaggiano anche Giardino e parecchia dell’estetica anni ’80.
È un Dylan che fa il giro, forse, omaggia se stesso con complice consapevolezza. Ma la cosa che più mi colpisce è un sottile risvolto cinico. Qualcosa che ne mostra un aspetto misantropo e beffardo e che emerge solo nelle ultime due tavole, quando finalmente incontra Gertie e Gertie gli racconta la sua parte della storia.
C’è qualcosa che ancora mi quadra poco in tutto ciò. Da cinquanta a quattrocento sterline è solo inflazione mista a Brexit o è l’ennesimo colpo di sciabola di un Dylan che per una volta smette di essere cavaliere in lucente armatura ?