Prima di approcciare a parlare della storia in sé, credo siano necessarie due considerazioni di carattere più ampio.
La prima, è che il fantasy è un genere di cui non sembra ci si stanchi mai. Facevo questa considerazione un paio di giorni fa. Viviamo in un momento dove House of Dragon e Rings of Power si contendono il primato di migliori spin-off di osannatissime saghe fantasy mentre l’unica saga cyberpunk che meriterebbe di essere applaudita (ho visto troppo poco di Inverso per parlarne), Westworld, non avrà neppure un finale degno di chiuderne la storia. In più, solo in ambito fumettistico popolare, è innegabile che il fantasy in Italia stia vivendo una grande stagione.
La seconda considerazione mi spinge a ragionare su come siano strette le gabbie dei tops fantasy e di come, in una particolare direzione si riesca con estrema facilità a rompere gli indugi, sto parando di come gli abitanti del Sol Levante riescano a percepire le suggestioni mitteleuropee alla base della dottrina Tolkeniana mediandole con una delicatezza shinto che permette di generare una iterazione del canone del tutto non derivativa.
Di ritorno, quel fantasy così esotico, esercita un fascino strepitoso anche alle nostre latitudini portando parecchia attenzione alla creazione di strani nuovi mondi e cosmogenie congenite. Kalya è tutto questo, ma anche di più. Cantone e Lamberti, contribuiscono a creare un mondo denso di informazioni dove la tentazione di perdersi e lasciarsi tutto alle spalle non è esattamente una chimera. Se volete, questa frizione è generata dalle moderne regole della scrittura (show, don’t tell, parti da storia già iniziata) applicate ad un universo strutturato per ospitare decenni di storie.
Chi ha avuto la fortuna di passare dallo stand Bugs a Lucca e recuperare il primo volume con la bibbia di Kalya sa di cosa parlo. Questa prima avventura, che, di fatto, è proprio la metà esatta di una storia più ampia, serve per introdurre il nucleo principale di personaggi, in primis proprio Kalya, avventuriera che, in pieno rispetto del cammino dell’Eroe, inizia le sue avventure con una cesura importante con la sua famiglia di origine.
Kalya ed il suo fido goblin Tagh, vengono ingaggiati in una ricerca di una reliquia di importanza vitale dietro promessa di un compenso ed informazioni. E tanto basta ai due per mettersi in moto. Non voglio rovinarvi i delicatissimi intarsi di trama ed intreccio perché, come vi dicevo, è tale il livello di approfondimento che in 96 pagine scarse si riesce soltanto a percepire un’ombra platonica di quello che ci aspetta. Va però sottolineato come la messa in scena è raffinata e ricercata. L’intera cosmogonia viene messa in gioco sin dal principio e, anzi, proprio su questa ci sarebbero delle cose da dire, o almeno, da supporre.
Per chi è amante delle storie del barbuto esorcista di Edimburgo, si sa che un paio di mesi prima della comparsa del mensile, Kalya faceva la sua comparsa nel finale di una sua storia (ve ne parlo qui). Se adesso leggete le prime pagine del volumetto, noterete che tra la nascita dei demoni in Samuel e dei Gjaldest in Kalya, la somiglianza è davvero inquietante.
Un ottimo passo avanti insomma per i prodotti da edicola. E non si può non applaudire alla scelta di una copertinista di eccezione come Elena Casagrande. Fa piacere insomma trovare nuove proposte di genere, anche per me che non apprezzo il fantasy se non urbano. Fa piacere e stimola, perché una cosa va detta con tutta la stima del caso. Con un legame strettissimo con il proprio pubblico, conquistato mese dopo mese, la Bugs difficilmente sta sbagliando un colpo.