Questo episodio di Samuel è tra, se non IL più esoterico tra le storie del nostro barbuto esorcista. Anche per questa ragione, ho faticato a produrne una analisi che potessi considerare adeguata. Non è un caso che la narrazione sia affidata al solo Filadoro, che sappiamo bene essere il deus ex machina della cosmogenia Sterniana.
L’episodio in questione è di una profondità introspettiva penetrante e quasi morbosa. La stessa percezione della carne viva come un modo di entrare in contatto con gli altri rimandi a ben de diramazioni differenti. Se da un certo punto filosofico ci ho visto molto Lovecraft (ma in un certo qual modo anche Clive Barker e Sam Raimi – stranissime commistioni.). Dall’altro lato ho percepito un naturale omaggio al padre di tutte le possessioni di carattere fumettistico. Quel Devilman di Go Nagai, che ancora oggi, a dispetto delle decadi trascorse, riesce a far passare brividi possenti lungo la schiena dei cuori sensibili.
È proprio in quelle pagine che si percepisce l’idea di un fondersi graduale tra il mondo dei demoni e quello degli umani. Qualcosa che avviene dapprima sotto traccia, poi, quando è troppo tardi, si palesa.
Nelle pagine del nostro, Duncan e Samuel si trovano a riallacciare i rapporti con Ailith, una ragazza posseduta dal demone Abbadon e liberata in un passato non ancora raccontato da Samuel. Abbadon è una figura biblica estremamente ambigua (si dibatte ancora se sia un angelo idi dio o del demonio) che risponde però all’appellativo di signore dell’abisso.
A complicare la cosmogenia, lo stesso demone avrebbe posseduto anche Arabella. E la cosa genera ingombranti dubbi : fino ad ora i demoni sono stati percepiti come qualcosa di nato all’interno degli umani e, se cacciati, condannati a vivere su Legione. Qui al contrario, si ha la percezione di Abbadon come di qualcosa che trascende e che potrebbe tornare da un momento all’altro.
Lo sappiamo da un bel po’ oramai : si sta preparando una guerra.
Ailith ed Arabella sono nello stesso ospedale psichiatrico, lontane l’una dall’altra, o così ci è dato sapere al momento in cui questa storia si apre. Quello che si dipana piano piano è un intrigo morboso dove persone che inizialmente trasmettono l’innocenza più candida, sono coinvolte nel modo più profondo ed irreversibile.
Samuel, che sembra aver trovato un nuovo equilibrio dopo gli affanni dell’ultimo anno, faticherà a dipanare la matassa. Ma raggiunto il climax, la sua posizione non smetterà completamente di essere quella di un comune spettatore perché, di fatto, la tragedia che segna entrambe è già avviata.
Questo non significa che la storia sia priva di colpi di scena. Al contrario, la parte finale dell’albo, ci mostra l’inferno, o meglio un inferno dove Arabella trascina le persone. Questo luogo della mente è sia solido e concreto che semplicemente metafisico. La prigione della carne, che qui viene resa come un osceno tabernacolo, è quasi raccapricciante. Filadoro è capace di scrivere una pazzesca storia di amore amicale esasperando gli estremi e portandoci, assieme a Samuel, letteralmente in un non luogo dell’anima.
Le tavole sono affidate a Salsi, che rende i personaggi stilisticamente ben caratterizzati. Gli sfondi, resi da un bianco e nero nettissimo sono ricchi di particolari ed estremamente raffinati. Cionondimeno, le pagine dove l’elemento mutageno dei corpi è più presente sono morbose e alienanti al tempo stesso.
Non si tratta di una storia facile del nostro, probabilmente non la prima che consiglierei di leggere. Ma allo stesso tempo si tratta di un capolavoro di scrittura che fa soltanto desiderare di averne di più.