Questa è una storia che a leggerla fa male, siate avvisati. Non si può affrontare un tema come l’incesto e pensare di uscirne indenni. Il volume che Tunué riporta in Italia in una edizione che ha dello strepitoso, ha una lunga storia ed un premio Eisner alle spalle.
Pubblicata per la prima volta intorno al 1994, la storia, scritta e disegnata da Bryan Talbot, nasce come un omaggio al lake district britannico. Nell’intento dell’autore, doveva esserci un parallelismo tra la protagonista e Beatrix Potter, scrittrice di libri per bambini (Peter Coniglio etc.).
Come Neil Gaiman spiega però nell’introduzione, c’è ben poco di tranquillizzante nelle storie di Beatrix Potter, a leggerle con un occhio adulto. E ancora meno nella vita di Helen. La protagonista di è una homeless, come tante se ne incontrava nell’Inghilterra post Thatcher. Vive ai margini di Londra accompagnata da un roditore che, ad un certo punto assumerà un’essenza quasi metafisica.
Il problema di Helen è che è una ragazza interrotta, traumatizzata, danneggiata. La ragione per cui è scappata di casa è una madre odiosa, che mai l’ha desiderata e mai la comprenderà. Ma peggio ancora un padre che è un mostro. La sera torna ubriaco ed entra nella sua stanza per poi abusare di lei.
Helen attraversa tutti gli stati che un trauma come questo possono generare. Lo stesso Bryan nella postfazione racconta di come si è documentato per non scrivere inesatezze. E come, alla fine, tutte le persone che subiscono una violenza simile, finiscono per reagire in un modo tristemente simile. Rabbia inespressa, depressione, sentirsi sporchi.
Helen passa tutto questo e si sente schifosamente sola ed incapace di avere qualsiasi tipo di contatto se non con il suo topo.
Quando ad un certo punto della strada, decide di abbandonare la vita in una casa occupata di Londra per muoversi verso il lake district neppure lei è certa di capire che cosa possa essere la ragione che la spinga. E se deve esser onesto, più leggevo le pagine, più venivo colto dal timore che potesse esserci un solo e definitivo modo per chiudere la questione.
Ed invece, la storia che segue parla di redenzione e rinascita. Non voglio rovinarvi il finale, anche perché in questo caso credo conti più il tragitto. Ma Helen comincia ad incontrare le persone giuste. Trova una nuova casa e, quando si rende conto che il dolore non è più sopportabile, chiede aiuto e smette di essere solo una vittima.
La parte finale potrebbe quasi essere una bussola psicanalitica. E non credo sia un caso che la miniserie originale, edita da Dark Horse, sia stata utilizzata come testo divulgativo per sensibilizzare su queste atroci vicende domestiche. La cosa che più di ogni altro indigna anche se forse credo sia la più realistica è proprio il momento in cui Helen affronta il mostro. Il mostro non è una creatura bidimensionalmente malvagia, di quelle che è facile odiare. Al contrario è un essere pieno di sensi di colpa ed incapace di comprendere appieno il male che ha apportato. Non dico che si riesca ad empatizzare, non è questo il caso, ma Bryan Talbot riesce nella non facile missione di mostrare il male nella sua vera natura, senza banalizzalo.
Graficamente la storia è pazzesca. Lo stile di Talbot è netto, definito, una sorta di Charles Vess più concreto e disilluso . Le sue tavole trasmettono un fortissimo richiamo al fumetto made in UK che in questo caso non va intesa come qualcosa di chiuso, ma al contrario contestualizzano uno stile perfettamente bilanciato e dalle colorazioni nettissime, tipiche di quel periodo.
Complimenti a Tunué infine per questa splendida edizione. Era da un po’ che la storia del topo cattivo mancava dagli scaffali e trovarla in una forma così smagliante pronta per una nuova generazione di lettori non può che fare bene a chi ama il concetto di graphic novel inteso come slice of life.