Il primo numero della gestione Baraldi è una piccola esplosione copernicana. Sequel diretto di quello Sciarada che vide una delle collaborazioni più interessanti della Barbato con Piccatto (DD 191), in Frammenti ritorna Angelique.
Il cambio di marcia viene dato sin dalle prime tavole, dove a fare un piacevole ritorno sono dialoghi corposi ed introspettivi. Non mancano certo, anche dei riferimenti autoironici alla gestione precedente. Non bastasse il meta riferimento alla continuity, nelle prime tavole viene detto ad un Dylan in allenamento ‘coraggio, nessuno si aspetta che tu possa tornare dieci anni più giovane’.
Ok, domata la vena polemica, l’elemento che più sorprende, è il gioco di incastri della sceneggiatura, che vede un serial killer con un modus operandi alquanto bizzarro, coinvolgere la stessa Angelique, finalmente fuori dalla clinica psichiatrica in cui era tenuta prigioniera. Ad affiancarla, oltre lo stesso Dylan, compare Rimbaud un altro particolarissimo ospite della clinica. Rimbaud infatti soffre di disturbo dissociativo della personalità (curiosamente in inglese, la patologia si definisce DID), e delle sue cinque personalità una soltanto, si è macchiata di un efferato crimine, ma nessuno riesce a capire quale.
Solo Angelique risulterà essere capace di identificare un pattern, mentre il misterioso omicida seriale sembra intento a voler eliminare le personalità di Rimbaud, una ad una. C’è un elemento verso i tre quarti della storia che rende il cliffhanger finale quasi ovvio (sottolineo quasi). Ma è quel tipo di compiacimento che ci assicura che l’empatia tra Paola Barbato ed il suo pubblico è pressoché totale. Ed infatti è lo sghignazzo prima che arrivi il colpo ben assestato e non atteso. Quella finta sicurezza che ci credeva capaci di aver intuito tutto, quando, invece no, non è proprio così.
Graficamente, Luigi Piccatto, Renato Riccio e Matteo Santaniello amalgamano alla perfezione i loro stili, riportando in auge un Dylan dinoccolato ed ossuto, quasi adolescenziale nei suoi andamenti e nelle sue pose.
Il suo ruolo, come spesso accade, è quello del testimone non giudicante. Quello che accade, si svolge con il ritmo in crescendo di una moderna serie tv dove l’orrore sovrannaturale fa spazio ad uno stile weird, contemporaneamente vintage e attualissimo.
L’esplosione dei dialoghi è forse il colpo meglio riuscito alla storia che, decisamente, segna il passo con il cambiamento, e ci mette al centro di una narrazione che a parte qualche nodosità, porta al finale sconvolgendoci, stupefatti e inermi, nell’osservare la sequenza finale.
Il ritmo è quasi hollywoodiano, ma la resa è decisamente quella di un Dylan sarcastico, curiosamente senza Groucho, e straordinariamente integrato nel ritmo narrativo.
Davvero un ottimo inizio.