La storia, ho meglio la prima metà della storia, che compare su questo numero di Dylan è spiazzante. E lo è per un numero di ragioni differenti. In un certo qual modo segna il ritorno di Recchioni come
sceneggiatore. Sbrigliato dal ruolo di curatore, Recchioni torna a sperimentare, giocando in primo luogo sul linguaggio del fumetto formato quaderno. La storia viene infatti pensata, come suggerisce il titolo, totalmente in sedici noni, con vignette che si allungano su tutta l’ampiezza della pagina trasmettendo la sensazione di essere davanti ad uno storyboard cinematografico. Non fosse per gli spettacolari disegni su cui torneremo tra pochissimo.
In sostanza, il formato quaderno ne esce dimezzato, offrendo una decompressione tale da spostare la storia su due albi. Cosa che, se non ricordo male, non è poi così frequentissima negli albi dell’indagatore dell’incubo, ma che non deve neppure essere vista come un difetto.
Alla rarefazione dei dialoghi, la sceneggiatura regala spazio ai disegni di Corrado Roi per esprimersi in un modo inedito ed esemplare. Non mi meraviglierei neppure troppo se questa storia fosse già stata pensata per una rappresentazione in formato cartonato gigante. Anzi, è esattamente quello che auspicherei.
Ma siamo già a due quinti di recensione senza che abbia parlato troppo della storia in sé. Si sa, naturalmente, con Recchioni il linguaggio del fumetto pesa tanto quanto il linguaggio nel fumetto. Per cui tutte le precisazioni di cui sopra erano quanto meno doverose.
Il canone della storia, richiama uno dei topoi tra i più classici ed inquietanti del cinema di genere. In un giro di sparizioni di persone, Dylan viene chiamato ad indagare nella casa di una ricca collezionista d’arte. E l’arte stessa qui ad essere chiamata in casa non come rappresentazione della realtà, ma come parte integrante della realtà e chiave per altri mondi. La riflessione meta letteraria permette infatti di considerare Eros e Thanatos quanto mai intrecciati. E non è un caso che la carica erotica delle tavole sia particolarmente esplosiva. Naturalmente bisognerebbe aspettare la conclusione della storia nel prossimo numero per capirne completamente i risvolti, ma il tenore morboso di questa prima metà è sufficiente per intrigare il lettore appassionato come quello casuale.
Passiamo alla parte grafica. Basterebbe sintetizzare con : tavole di Corrado Roi. Non servirebbe altro. La sua espressività, il suo Dylan dagli occhi vitrei e proiettati sull’infinito è di per sé una garanzia. Per tacere della grazia statuaria dei corpi femminili, in queste pagine esaltati quanto mai.
Ma per questa storia non basta. La concezione grafica vede tre vignette per ogni pagina susseguirsi con un ritmo sussultorio. Quando non giocano sui piani sequenza, le tre vignette compongono una sola immagine, dove l’andamento temporale è sostenuto da piccole variazioni che compongono il flusso narrante.
La scala di grigi, le anatomie marmoree, i lunghi silenzi intervallati da dialoghi puntuali conferiscono a questa storia un ritmo lento, rarefatto come in quasi tutte le storie di Roi, ma strutturalmente complesso. Al punto che i sedici noni del titolo mi riportano ai quindici ottavi del comfortably numb dei Pink Floyd.
Dovendo lavorare con una collezione d’arte, Roi spinge le sue matite oltre gli elementi di scultura ed architettura portando suggestioni che ricordano da vicino Giger e che, sul finale dell’albo omaggiano Moebius.
Si tratta di una storia di ampio respiro, che capita nei due mesi precedenti al passaggio ufficiale di consegna tra Recchioni e Barbara Baraldi nel ruolo di curatore. Un canto del cigno che non può che essere applaudito e che lascia presagire prove interessanti del prossimo Recchioni scrittore.