Il purgatorio dell’angelo rappresenta il penultimo capitolo della saga del commissario Ricciardi, almeno come era stata originariamente pensata da Maurizio de Giovanni. Molti dei nodi vengono al pettine, lasciando il tutto con un presagio di tempesta.
In realtà, De Giovanni è poi ritornato sul commissario decidendo di estenderne le gesta per almeno altri tre libri, muovendosi al di là di quella immane tragedia con cui si concluderà il prossimo racconto.
Ma non precorriamo i tempi, non troppo almeno. L’atmosfera che pervade il mondo del commissario Ricciardi si addensa volume dopo volume. Nel descrivere la paranoia, ed il tipo di pressione sociale, che il regime del Ventennio esercitava sui semplici cittadini, queste storie trasmettono una claustrofobia reale.
Luigi Alfredo Ricciardi è un personaggio complesso, profondo. A volte perfino triste. Mentre sembra capace di mantenere costantemente una placida serenità nell’affrontare i casi che sempre più spesso coinvolgono le alte sfere, sul versante della vita privata, le cose non vanno altrettanto bene. Enrica, la donna di cui è perdutamente innamorato, ricambiato, è allontanata dalle pressioni sociali imposte dalla sua famiglia. E lo stesso Ricciardi ha paura di condannarla ad una vita di miseria per via del suo tocco.
La sua peculiarità è quella di rivedere i morti ripetere le loro ultime frasi. Un discreto aiuto nel suo lavoro, ma non certo la più serena delle qualità nella vita di tutti i giorni. La capacità squisitamente partenopea di inserire il misticismo (oggi diremmo il weird) in un contesto decisamente realistico, è un vero e proprio dono. Nessuna spiegazione viene mai data alle capacità di Ricciardi, a parte che sono doni di famiglia. Ma non è solo quello. Nella serie a fumetti, molto più che nei romanzi, Nelide, la donna che lo aiuta con i lavori di casa, vede e parla con fantasma della vecchia zia. Come fosse assolutamente normale.
La vita di Ricciardi è affastellata a quella di personaggi che da una parte lo trascinano verso la vita ed il focolare (Maione, la stessa Enrica) mentre dall’altro lo invitano ad una vita più solitaria ed edonistica (Modo, tra quelli rimasti nel cast, ma non solo). L’equilibrio tra le due esistenze è il distillato più profondo della storia.
Nel Purgatorio dell’angelo, Sergio Brancato ci accompagna nell’indagine su un gesuita, un uomo di dio che viene brutalmente ucciso in un tratto di mare innegabilmente affascinante. Brancato riprende gli snodi della trama originale, ma aggiunge degli inserti originali, piccoli particolari che permettono una transazione funzionale della storia da un media all’altro. Il team di sceneggiatori che lavora a questi adattamenti, è stato capace di realizzare dei piccoli miracoli sin dalle prime storie (parlo di alcune di loro qui).
Lucilla Stellato, che si misura con questo undicesimo capitolo, ha un tratto denso di sfumature e carico di dettagli. La regia è sapientemente mantenuta attraverso un ritmo placido, e perfettamente in grado di rendere le tensioni che sottostanno.
L’intera Napoli raccontata nel Purgatorio dell’angelo è carica di tensioni che sono sul punto di implodere. Nel momento in cui la storia colliderà con la Storia sarà finalmente chiaro che tipo di eruzione vulcanica sarà.
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