Torna disponibile a dieci dalla prima uscita il sesto album dei Suede, Bloodsports. La miscela di sonorità indie e brit suona contemporanea in maniera impressionabile.
C’è poco da dire qui, finita l’epoca d’ordo del grunge, il britpop fu la next big thing degli anni ’90. E, parafrasando Nick Hornby, sicuramente se sono propenso ad una certa mielosa melanconia, lo devo proprio a quel tipo di sonorità.
Solo che i Suede, non erano proprio quel tipo di band che ti adagia nella tua comfort zone. Sessualmente ambigue prima che Brian Molko ne facesse un marchio di fabbrica, le sonorità muscolari del loro indie chitarristico si fondevano alla perfezione con le liriche vulnerabili ed introspettive di Brett Anderson.
Devo dirvelo prima che me ne dimentichi : Trash è la miglior cover di Heroes di Bowie senza che sia una cover di Heroes di Bowie.
In ogni caso, questo Bloodsport 10th anniversary edition mi colpisce un po’ a sorpresa. Indubbiamente nel 2013 lo avevo preso più sottogamba. O forse mi sentivo troppo vecchio per questo genere di musica.
Per cui è abbastanza interessante che non mi ci senta adesso. I suede incisero questo album dopo essersi riuniti. Dieci anni lo separano dall’album precedente, ed altri dieci anni di portano ad oggi. Il suono di questa band, è molto più consapevole e coeso. Sanno quello che stanno facendo, non ci sono pezzi falsi o fuori luogo. L’equilibrio tra liriche ed atmosfere è quasi perfetto.
Brett e soci stavano venendo a patti con la vita. Con il non essere più al massimo livello, di non fare più notizia per taglio di capelli e suono di cellophane.
E ci riescono alla perfezione. Non suona come un disco positivo. È più una consapevolezza, il tempo passa e bisogna tutti fare i conti con i propri demoni. Musicalmente, Bloodsports si snocciola in una versione extra di diciotto brani, dove ogni elemento di incastona alla perfezione. Gli arrangiamenti sono deliziosamente di un brit moderno, dove sembra sempre che il fantasma di David Bowie aleggi sempre. All’epoca era ancora tra noi, ma il suo periodo berlinese risuona quasi in ogni traccia. In un certo qual modo riesco a percepire anche degli echi distorti del miglior Morrissey.
Ma la cosa che colpisce, è il tono epico che attraversa tutte le tracce, regalando una atmosfera misurata. Un caldo bianco e nero sgranato dove gli unici ospiti sono degli specchi appena un po’ opachi.
Gli inglesi sono sempre stati bravi nel raccontare questo tipo di quieta disperazione che in un paio di atomi luminescenti vira in consapevolezza e, d’un tratto, tutto sembra più sopportabile.
Questi Suede riescono a raggiungere il mio cuore molto meglio di quelli di Coming Up. Sono più maturi e rigati dalla vita. E mi piacciono davvero un casino.
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