Il nuovo numero di Dylan Dog riserva delle belle sorprese. In Colui che divora le ombre, Dylan Dog, magistralmente diretto da Alessandro Bilotta si occupa di quel terrore primario e sociale che fu di Tiziano Sclavi.
Barbara Baraldi l’aveva promesso (trovate tutte le info qui) : il nuovo corso avrebbe ripreso alcune delle tematiche più legate alle storie classiche. E nel giro di quasi un anno di storie interessanti ne abbiamo viste differenti. Ma questa è la prima volta in cui mi capita di vedere affrontato un tema così forte e sentito. E gestito con una sensibilità fuori dal comune.
Dylan incontra Timothy un ragazzo terrorizzato dal mostro nell’armadio. Fin qui nulla di strano, bambini e creature nel buio da sempre sono un topos delle storie horror. Le carte cambiano nel momento in cui Tim confessa che queste creature non si accaniscono con lui ma che, in un modo o nell’altro, vanno a toccare le persone a lui vicine. Prima i suoi genitori, poi i suoi amici ed infine anche i bulletti che lo terrorizzano a scuola.
Dylan in tutto questo si mantiene distante. Le paure del ragazzo sembrano quelle di tutti i suoi coetanei, almeno di quelli più introversi. Restio ad accettare perfino l’incarico, si occupa di fargli da fratello maggiore fino a quando non scopre segni simili ad unghiate sotto il famoso armadio.
Non vi rivelerò l’elemento finale, il colpo di scena che trasforma questa storia in genio puro. Ma sappiate che si palesa sul filo di lana dell’epilogo e quando appare, riesce a gettare una nuova ottica su tutta la storia. Perché colui che divora le ombre non si sconfigge facilmente. Al contrario, è una presenza tremendamente ineffabile.
Alessandro Bilotta lavora su una sceneggiatura ad orologeria, perfetta in ogni suo meccanismo e che omaggia, seppur velatamente, il cavaliere oscuro di Gotham City. Il mostro, o meglio la sua metafora, è qualcosa che Alessandro deve conoscere tremendamente bene. Non tanto per la descrizione accurata che riesce a darne, ma proprio per quella sua incredibile capacità di stupire, colpendo al posto giusto del cuore.
Corrado Roi affianca Bilotta in questa narrazione contribuendo all’aroma vintage della storia. Il suo Dylan emaciato, quasi etereo si muove in una zona dei sobborghi con un ritmo lento, quasi assopito. La fusione di testo e disegno, in questo, è assolutamente senza sbavature.
Con gli anni, il tratto di Roi si è fatto ancora più degno di un’esteta. Le linee sono appena meno decise, tracciate lungo un percorso di ricerca che tende alla perfezione e la sfiora delicatamente.
Colui che divora le ombre è la storia più bella e Dylaniata di questa estate. La solitudine, che attraversa in modo sghembo trama ed intreccio, è sovrana indiscussa.
Nulla avrebbe potuto rendere questo albo più classico e perfetto se non Dylan (perdonatemi il calo di toni) che finisse a letto con la bella maestrina di Timothy.
Ma in generale, solo e soltanto applausi.
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