Il nuovo capitolo di Eternity alza ulteriormente l’asticella portando il nostro Alceste Santacroce in una spirale di eventi dove i giorni che non passano e la vita che passa, si uniscono in un tutt’uno.
Sapete quando ami le cose che scrive Alessandro Bilotta (ve ne parlo qui) e quelle che disegna Sergio Gerasi (ve ne parlo qui) . Quando poi i due lavorano assieme…
Le avventure di Alceste Santacroce si svolgono in una Roma fuori dal tempo. Basta guardare le tavole per capire che il mondo in cui sono ambientate è un incrocio tra la Roma dei Vitelloni, quella del periodo d’oro degli sceneggiati e dei grandi show televisivi e, ovviamente, quella moderna di reality ed influencers.
Che sia una Roma reale, è tutto da dimostrare. Basta guardare il modo in cui foglie e giochi di luce sono disegnate per avere qualche dubbio. Riconducibili a forme simili a pixel ultradettagliati. Succede tutte le volte, troppe per essere una casualità. Lo stesso concetto di Eternity, si, può fare riferimento alla città eterna per eccellenza. Oppure può essere un riferimento di altro genere, ad una sorta di Aldilà catodico che ha le sembianze della Urbe.
Una cosa è certa, al pari di Alceste, Roma è una protagonista importante di questa storia.
Ne i giorni non passano mai e la vita passa in fretta, Bilotta si misura con la ripetitività degli eventi, di quella sorta di giorno della Marmotta che, in modalità più o meno complesse, tutti viviamo prima o poi. Fino a quando la vita non finisce ovvio.
È così che Santacroce, risalita la china, si ritrova a vivere un periodo di fama dopo aver scritto un libro su Tito un vecchio presentatore televisivo che non riesce a riconquistare un posto al sole. L’aver pubblicato un libro di successo (“il più venduto d’Italia”) trasforma Alceste in quello che normalmente lui caccia. Un vip alla disperata ricerca di pace ma che, in fondo, ci gode ad essere perseguitato.
Non è tutta qui la storia. Se la trama si sviluppa in maniera lineare, l’ordito è composto di tanti piccoli riferimenti pop, alcuni poi, particolarmente insinuanti. Così mentre in questo volume, Alceste lotta con quello che è diventato, scopriamo altri particolari su suo fratello, mentre una strana terapia vorrebbe ‘curare’ l’omosessualità. E un piccolo brivido scende lungo la schiena pensando alla crociata di un certo ‘generale’ che ad un certo punto se la prende con un orso che gira per le strade impunito.
Perché è chiaro che Eternity è prima di ogni altra cosa critica della contemporaneità.
E le matite di Sergio Gerasi la rendono semplicemente sublime. Per me Sergio è il migliore disegnatore che abbiamo a disposizione sul territorio. La sua linea perennemente ondulata lascia intravedere spazi nello spazio bianco che nessun altro autore saprebbe indovinare.
La sua capacità di rappresentare Alceste per il dandy che è, è semplicemente strepitosa. Nella sua costruzione della tavola tutto finisce magicamente a posto secondo soluzioni non convenzionali che si intonano perfettamente con l’ucronica che rappresenta Eternity.
Quello che impressione è la cura dei dettagli, i riferimenti iconografici ad una Roma che non c’è più, i vecchi telegiornali e le telecamere giganti.
Ogni cosa in Eternity mira a scompigliare il vago concetto di normalità che noi poveri mortali possiamo avere.
E non vi ho nemmeno parlato di quel pazzo cliffhanger finale che lascia davvero tutti a bocca aperta.
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